lunedì 23 novembre 2015

IL DELTA DEL PO



Il Delta del Po è un complesso di zone umide e terre emerse che si estende in tre province e due regioni: in Veneto, provincia di Rovigo, si trova la parte attiva, quella per intenderci a forma "di triangolo" o di "delta" appunto, dalla quale sfocia in mare la maggior quantità d'acqua; in Emilia Romagna, province di Ferrara e Ravenna, si trova invece la parte storica, dove secoli fa si trovavano i principali rami del grande fiume.

I cosiddetti "due Delta", ripartiti nelle due regioni e separati dal Po di Goro, sono in realtà un unico organismo, con fittissimi interscambi al suo interno e con le altre zone umide limitrofe, soprattutto le lagune del nord Adriatico, da Chioggia alla Slovenia. Sussistono comunque al suo interno differenze, sfumature, linee invisibili, ma ben note all'avifauna. Specie ben rappresentate da una parte possono essere assenti o quasi dall'altra, e viceversa. Ciò è particolarmente visibile per gli insetti e le piante. Queste differenze, causate sia dall'estensione della zona considerata che dalla frammentazione degli habitat, rendono impossibile poter conoscere il Delta in un'unica uscita o in un'unica stagione.

La parte veneta del Delta, che ricade interamente in provincia di Rovigo, ha come confine l'Adige a nord e il Po di Goro a sud. Si è formata per buona parte negli ultimi 400 anni, ed è quindi da considerarsi tra le terre più giovani d'Italia. Furono i Veneziani a cambiare il corso degli eventi geomorfologici: temendo per l'interramento della parte meridionale della Laguna di Venezia, deviarono verso sud il ramo principale del Po nel 1604, con il cosiddetto "Taglio di Porto Viro". Da quell'epoca il Po ha iniziato a depositare i suoi sedimenti nella Sacca di Goro, strappando al mare migliaia di ettari e creando l'odierna cuspide.

Il Delta veneto si estende per 8.000 ettari di valli da pesca arginate, quasi 11.000 ettari di lagune, 4.000 ettari di rami del Po (comprese lanche, golene ed isole fluviali) e altre migliaia di ettari di coltivi, con canali di bonifica, risaie, dune fossili sabbiose e abitati.

I rami del Po (5 in teoria, ma molti di più se si considerano le "bocche" terminali) si snodano come un sistema circolatorio e, superato il cordone delle dune fossili (con leccio, pino e macchia mediterranea), sfociano in mare dando origine lateralmente a valli e lagune. Ospitano per quasi tutto il loro corso un rigoglioso bosco igrofilo, spesso allagato, di salici e pioppi, sede di una decina di garzaie. Prima di gettarsi in mare formano vaste estensioni di canneto di Phragmites, dette "bonelli". I rami naturalisticamente più interessanti sono quello principale, Po di Venezia, ed il Po di Maistra, il più selvaggio.



Le valli da pesca sono ex lagune ora arginate, utilizzate per l'allevamento del pesce e la caccia agli acquatici. Sono tutte private, con concessione ad aziende faunistico-venatorie. Al loro interno livello dell'acqua e salinità sono gestiti artificialmente, e la loro morfologia viene modificata dall'intervento umano. Tra le più conosciute, grazie a posizione e ricchezza faunistica, vanno ricordate le Valli: Ca' Pisani, Scanarello, Chiusa, Ripiego e Ca' Zuliani.

Le lagune, ad acqua oramai piuttosto salata, sono difese dall'azione del mare dagli "scanni", isole sabbiose sottili ed allungate, con una tipica vegetazione erbacea psammofila pioniera. Dieci scanni si estendono per decine di km, cingendo come una corona tutto il Delta; questa situazione fa del Delta veneto il tratto di costa italiano meno antropizzato. Il più famoso tra tutti resta "Scano Boa".

Le modificazioni morfologiche avviate dai Veneziani nel XVII secolo, unitamente alla continua e necessaria gestione idraulica, hanno rafforzato nelle genti del Delta l'idea che questo territorio sia stato "creato" dall'uomo. Questo ha sempre reso psicologicamente accettabile qualsiasi manomissione ambientale, dalla costruzione della centrale ENEL termoelettrica di Polesine Camerini, al "raddrizzamento" di alcune anse del Po, alla bonifica di migliaia di ettari di valli e paludi spesso d'acqua dolce, ambiente oggi estremamente raro in Italia.

La superficie protetta è in ogni caso preziosa e vede di anno in anno l'aumento al suo interno del numero di uccelli acquatici svernanti. I rami del Po sostengono inoltre la quasi totalità della popolazione svernante a livello locale di alcune specie, tra cui Moriglione, Moretta, Moretta tabaccata, Moretta grigia, Smergo maggiore, Quattrocchi, Pesciaiola, Canapiglia, Marangone minore.

Nel Delta veneto nidifica una frazione significativa delle popolazioni italiane di laro-limicoli, e alcune specie svernanti hanno qui una delle loro roccaforti europee, oltre che italiane. Il numero delle coppie di Uccelli acquatici nidificanti assomma a 5-6.000, mentre dal 2002 il numero di svernanti è sempre stato superiore alle 100.000 unità  . Ma forse ancora più sorprendente è la quantità di specie ed individui in transito migratorio: la zona è, infatti, sul 45° parallelo, cioè esattamente a metà tra polo ed equatore, in posizione centrale rispetto al Mediterraneo, sulla costa, e sulla rotta migratoria di molte popolazioni dell'Europa nord-orientale. Tutto questo fa del Delta un crocevia per i migratori e l'endemica situazione venatoria ne è purtroppo la riprova. Una gestione più attenta alle esigenze dei vari gruppi di specie potrebbe aumentare ulteriormente la quantità di individui presenti.

La comunità ornitica appare complessa: ogni mese si susseguono specie differenti, ed ogni anno riserva gradite o spiacevoli sorprese. Specie estinte da tempo stanno rioccupando gli antichi territori: è il caso ad esempio del Fenicottero, ricomparso da una decina d'anni ed ora presente con punte di oltre 4.000 individui, o del Marangone minore, "esploso" a partire dal 2001, passato da zero a quasi 2.000 individui in due anni.

Altre specie vanno consolidandosi, grazie a migliori condizioni locali e a fattori di più ampio respiro; è il caso di molte specie di anatidi, come il Moriglione e la Canapiglia, e di aironi quali l'Airone bianco maggiore, presente in svernamento con punte ormai di 1.000 individui. Ogni anno compaiono nuove specie, in transito o come nidificanti: nel 2001 le prime nidificazioni per Gabbiano corallino e Sterna zampenere, nel 2004 per Beccapesci e Pernice di mare.

Una cosa resta certa: una giornata di birdwatching nel Delta veneto regala emozioni e momenti spettacolari, comunque vada! La quantità e la varietà di ambienti e specie ad essi legate offrono una molteplicità di occasioni per incontri interessanti, segnalazioni di rarità, comportamenti inusuali, scenari fotografici.

A farla da padroni sono ovviamente gli uccelli acquatici, in particolare ardeidi ed anatidi (con punte di oltre 70.000 individui), sparpagliati in valli e lagune, ma molto interessante è anche la situazione dei rapaci e dei Passeriformi legati alle zone umide.

Il Parco regionale del Delta del Po dell'Emilia-Romagna copre tutto il delta storico del Po e include anche le bocche dei fiumi Reno, Lamone, Bevano.

Vi fanno parte pure le zone umide e salmastre della costa adriatica e dell'immediato entroterra: la sacca di Goro, le paludi di Comacchio, le terre di Ravenna, le saline di Cervia, le foreste di Argenta e le pinete del Lido di Classe alla bocca del Savio, a nord di Cervia.

Monumenti di rilievo all'interno del parco sono l'abbazia di Pomposa, la Pieve di San Giorgio, Sant'Apollinare in Classe, i canali di regolazione idraulica ed i centri storici di Mesola, Comacchio, Ravenna e Cervia.



Il Parco regionale del Delta del Po Veneto si estende per 786 km² dal Po di Goro fino al fiume Adige e comprende 9 comuni della provincia di Rovigo con una popolazione, all'interno dei limiti del parco, di circa 73.000 abitanti. La zona protetta ha una superficie di 120 km² .

La formazione del territorio del delta, su cui oggi sorge il parco, è dovuta al progressivo deposito di sedimenti che, sul lungo periodo, ha determinato all'avanzamento progressivo della linea di costa. Si tratta quindi di terreni geologicamente "nuovi".

Oltre che area di interesse paesaggistico e turistico, il delta del Po è anche un territorio di interesse economico, con presenza di zone dedicate alla pesca, alla piscicoltura e acquacoltura, con il Distretto Ittico di Rovigo istituito nel 2003, all'agricoltura e alla caccia. La produzione ortofrutticola è orientata soprattutto sui cereali quali mais e riso; è presente un sito di produzione energetica, la centrale termoelettrica di Porto Tolle.

Accanto alle tradizionali vie d'acqua, nel corso dei secoli sono state realizzate nel delta del Po opere stradali e ferrotranviarie.
Oltre al fitto reticolo di strade provinciali, l'area è attraversata dal raccordo autostradale 8 Ferrara-Porto Garibaldi. Le linee ferroviarie presenti in zona sono la Rovigo-Adria-Chioggia, e la Ferrara-Codigoro e il raccordo ferroviario Portomaggiore-Dogato. In passato erano presenti ulteriori relazioni su ferro quali la ferrovia Adria-Ariano Polesine, la ferrovia Ferrara-Copparo e le tranvie Ferrara-Codigoro e Ostellato-Comacchio-Porto Garibaldi.

L'intera Pianura Padana ha subìto, nel corso delle ere geologiche, profonde modificazioni che hanno portato a ripetuti avanzamenti e arretramenti della linea di costa. La foce del Po, di conseguenza, si è spostata anche di centinaia di chilometri e ha modificato innumerevoli volte la sua forma e la sua estensione.

Tra i fattori che hanno causato questi fenomeni si possono citare lo scontro tra le piattaforme continentali europea e africana (che determina da milioni di anni un lento innalzamento delle Alpi e Appennini correlato a fenomeni di subsidenza dei territori pianeggianti circostanti, variamente compensata dai depositi alluvionali), la variazione del livello del mare (correlata alle fasi di glaciazione), l'erosione delle catene montuose (con conseguente deposito sul fondale marino del materiale asportato) e in generale il fenomeno del trasporto solido.

Il maggior apporto di sedimenti trasportati dagli affluenti appenninici del Po rispetto agli affluenti alpini (che scaricano parte dei sedimenti nei laghi attraversati) ha comportato nei secoli il progressivo spostamento verso nord del delta del Po con interramenti o separazione dei vecchi alvei a sud. Questi spostamenti sono avvenuti a seguito di alluvioni.

La pianura Padana, fino a circa un milione di anni addietro, non esisteva ed al suo posto vi era un grande golfo che giungeva quasi alle Alpi Occidentali e all'Appennino Ligure. In seguito, durante le grandi glaciazioni dell'era quaternaria, il fondo marino di tale golfo divenne più volte terra emersa, sia a causa dell'incremento dei ghiacci sulle aree emerse e del conseguente abbassamento del livello del mare sia per l'ingente accumulo dei sedimenti erosi dai monti circostanti. Addirittura, al termine dell'ultima glaciazione, la linea di costa congiungeva direttamente l'attuale regione delle Marche con la zona centrale della Dalmazia.



Successivamente, con l'attuale ritiro dei ghiacciai, il mare tornò ad incrementare il suo livello. A quest'ultimo periodo risale la sedimentazione dei terreni limitrofi della bassa pianura che presentano un grande interesse par la notevole produttività agricola. A testimonianza della giovinezza del territorio, i terreni sono torbosi, argillosi e diventano più sabbiosi man mano che ci si avvicina al mare.

La valle Padusa era una vastissima area paludosa, che nell'antichità si estendeva a nord e a sud del Po, da Nonantola (10 km da Modena) fino a Ravenna per una lunghezza di oltre 100 km. Essa costituisce il prodromo del delta antico e di quello attuale.

La presenza dell'uomo nell'antico delta del Po risale già ad epoche preistoriche, come testimoniano i resti di alcuni villaggi di palafitte, ad esempio quello di Canàr nei pressi di San Pietro Polesine, in Comune di Castelnovo Bariano (Alto Polesine).

Le bonifiche delle paludi nei dintorni di Comacchio, soprattutto quella di Trebba (Valle Trebba) nel 1922 permisero la scoperta della necropoli di Spina, che data attorno al VI secolo a.C., e che testimonia la presenza degli etruschi che vi avevano fondato un porto commerciale situato tra le vie di comunicazione fluviale, marittima e terrestre (Reno, Po e Adriatico). Nel corso dei risanamenti delle paludi di Pega nel 1954-60 (Valle Pega) e del Mezzano nel 1960 (Valle del Mezzano), altre importanti scoperte furono portate alla luce e poi esposte al Museo Archeologico Nazionale di Ferrara.

La penetrazione dei Romani più a sud del delta, comincia con la fondazione di Senigallia (Sena Gallica 290 a.C.) e di Rimini (Ariminum 268 a.C.) sull'Adriatico, quindi si dirige più a nord ma senza creare colonie al passaggio, eccetto le stazioni di posta, come risulta dalla mappa Peutingeriana. È soltanto a partire dal I secolo che i fabbisogni di legno e di attrezzature da costruzione (piastrelle e mattoni in terracotta), che i Romani si stabilirono in questa regione ricca in foreste ed in suolo argilloso. La scoperta di necropoli a Voghenza (Vicus Habentia), a 10 km da Ferrara, permette di attestare, grazie al materiale numismatico ritrovato risalente all'epoca di Claudio (anni 41-54) e Massimino Trace (235-238), che i Romani si erano insediati in questa zona tra la fine del I secolo d.C. e gli inizi del III d.C.

Nel I secolo d.C. esistevano le fosse Augusta, Clodia, Filistina, Flavia, Messanicia e Neronia che permettevano di navigare da Ravenna ad Aquileia rimanendo sempre all'interno di lagune e percorrendo canali artificiali e tratti di fiumi. In epoca romana i porti più importanti sul Po sono: Cremona, Pavia (sul tratto terminale del Ticino), Piacenza, Brescello, Ostiglia, Vicus Varianus (l'attuale Vigarano) e Vicus Hobentia (l'attuale Voghenza) (Ferrara non esisteva ancora).

Il taglio o centuriazione romana delle terre a sud del delta mostra il lavoro dei Romani che si sono occupati di bonificare le terre con lo scavo di canali di scarico lungo le strade. Del resto i molti monumenti della città di Ravenna dimostrano il loro passaggio e il lavoro colossale compiuto: il drenaggio delle paludi e lo sfruttamento delle saline tra Cervia e Cesenatico, la piantagione di pinete in direzione di Ravenna per trattenere la sabbia al bordo delle coste.

Il declino progressivo di Ravenna favorì lo sviluppo di Ferrara che faceva parte dell'Esarcato di Ravenna ed il cui nome appare nel 754.

In epoca medievale il Po di Volano, che attraversava Ferrara, era il corso principale: questa situazione si protrasse fino al 1152, quando il fiume ruppe la diga del nord presso i "giunti delle braccia" (Rotta di Ficarolo), a Ficarolo in provincia di Rovigo, e il suo corso si modificò assumendo, per quel tratto, la conformazione attuale.

Restano scarse testimonianze del periodo sulla situazione a seguito della drammatica alluvione e sulle difficoltà incontrate nel risanamento del delta. È lecito immaginare una situazione molto grave, visti gli scarsi mezzi esistenti all'epoca per lottare contro fenomeni naturali come inondazioni e mutamenti rapidi del livello delle acque.

Nell'anno 1604, con l'apertura del Taglio di Porto Viro da parte dei Veneziani, l'assetto idraulico del delta mutò radicalmente. L'imponente opera di deviazione del corso principale del fiume fu realizzata al fine di contrastare il graduale ma progressivo processo di traslazione verso nord dell'idrografia fluviale causata dalle ragioni geologiche di cui si fa cenno nel soprastante relativo capitolo. Tale migrazione determinava un apporto sempre crescente di sedimenti verso la laguna di Venezia (ricordiamo l'esistenza del considerevole ramo settentrionale denominato Po di Tramontana, di cui è ancor oggi visibile il paleoalveo tra le valli a sud della foce dell'Adige) che ne minacciava l'interramento. Ciò avrebbe determinato l'occlusione del porto e la morte della città commerciale. Per questa fondamentale ragione Venezia decise di intraprendere una così colossale opera che, per l'epoca della sua realizzazione e per la sua entità complessiva, non ha eguali al mondo. Solo una città fondata sull'acqua e sulla sua profonda conoscenza poté concepire e ritenere attuabile una simile impresa.

Per quanto riguarda l'area del delta storico ferrarese, essa fu sottoposta dal 22 dicembre 1605 al controllo del "Consortium di San Giorgio", che ne ha idraulicamente salvaguardato e progressivamente bonificato il territorio.

Attraverso drenaggi e accordi di intervento successivi, la suddivisione è stata estesa a 120.000 ettari compresi tra il fiume Po di Volano a nord, il mare Adriatico a est, il fiume Reno ed il Po di Primaro a sud e ancora il Po a ovest.

Contrariamente alla parte settentrionale della provincia ferrarese, le terre che formavano un'unica grande depressione in corrispondenza del territorio di Polesine di San Giorgio non si prestavano ad un agevole drenaggio: gli interventi di risanamento avvenivano principalmente "per colmata", ovvero derivando le torbide dovute alle piene del Po e sfruttando la decantazione dei materiali in sospensione. Una più efficace gestione idraulica arriverà con il convogliamento delle acque effluenti dai terreni più elevati nel letto delle grandi linee idrauliche di bonifica che percorrevano la zona (Fosse di Porto, dei Masi, di Voghenza), fino allo sbocco finale costituito dalle paludi di Comacchio.

Il sollevamento meccanico delle acque dei terreni più bassi fu possibile a partire dal 1872, anno di costruzione del più vecchio stabilimento idrovoro di Marozzo a Lagosanto, al servizio del drenaggio di un bacino costituito da Valle Gallare, Valle Tassoni ed altre minori.

Fino al 1930, e con frequenza minore sino a tutt'oggi, altri impianti sono entrati in servizio per il drenaggio dei bacini del comprensorio, con lo scavo di canali profondi, come si faceva ai tempi dei Romani. Di là, pompe azionate principalmente da energia elettrica, fanno risalire l'acqua dalle zone basse in canali emissari che si versano in seguito nel mare.

Così, oggi il Po di Goro e Primaro, i fiumi Reno e Lemone sono collegati tra loro da canali che giungono al mare. Questo permette il drenaggio di tutte le terre del delta ad eccezione delle paludi di Comacchio (le più grandi) e due o tre altre piccole paludi. I terreni bonificati sono stati dedicati all'agricoltura.

Con gli ultimi interventi imponenti di risanamento delle paludi di Mezzano e di Pega, effettuati dall'ente per la colonizzazione del delta della pianura del Po, 20.000 nuovi ettari di terre coltivabili sono passati nel 1989 in gestione al consorzio di bonifica II circondario - Polesine di San Giorgio.

Una relazione del Consorzio di Bonifica Delta Po Adige fornisce alcuni dati per comprendere meglio la portata dell'intervento dell'uomo su un territorio che era per la sua natura alluvionale già soggetto a fenomeni di subsidenza naturali. Dagli anni trenta e soprattutto negli anni quaranta e cinquanta, fino alla sospensione decisa dal Governo nel 1961, furono estratti anche nel territorio del Delta del Po miliardi di m³ di metano e gas naturali. L'estrazione avveniva da centinaia di pozzi (una trentina nel Delta) che non raggiungevano i 1000 metri di profondità. Tramite dei manufatti in calcestruzzo, in parte ancora visibili su territorio, il gas veniva inviato alle centrali di compressione, mentre l'acqua salata (1 m³ di acqua per ogni m³ di gas estratto) veniva scaricata nei fossi e negli scoli.

Dal 1954 al 1958 furono estratti 230 milioni di m³ di gas per anno; nel 1959 si salì a 300 milioni.
Dal 1951 al 1960 furono misurati abbassamenti medi del suolo di un metro con punte di due metri; nonostante la sospensione delle estrazioni del 1961 il territorio continuò a calare molto nei 15 anni successivi; dall'inizio degli anni cinquanta a metà degli anni settanta il territorio è calato mediamente di oltre 2 metri sino a punte di 3,5 metri. Rilievi recenti dell'Istituto di Topografia della Facoltà di Ingegneria dell'Università di Padova hanno stabilito che i territori deltizi dell'Isola di Ariano e dell'Isola della Donzella si sono ulteriormente abbassati di 0,5 metri che vanno ad aggiungersi ai 2 - 3 metri sotto il livello del mare del territorio.

Le conseguenze della subsidenza, anche sotto il profilo economico, sono facilmente immaginabili:

effetti sulle arginature: il terreno che si abbassa trascina con sé anche gli argini. Questo causa minor spessore delle fiancate di sicurezza degli stessi, maggiori spinte dell'acqua, maggiore possibilità di formazione di fontanazzi e tracimazioni, maggiori possibilità di cedimenti degli argini. Le infiltrazioni sono calcolate in 70 litri al secondo per Km di argine. Le rotte del Po: l'Alluvione del Polesine del novembre 1951, le due rotte del Po di Goro nell'Isola di Ariano, la rottura dell'argine a mare in Comune di Porto Tolle, altre rotte di altri rami, avvennero negli anni in cui si estraeva il metano. Fu necessario rialzare e allargare gli argini dei fiumi (480 km) e gli argini a mare (80 km), con una spesa stimata di 3.300 milioni per gli argini di tutto il Polesine.
maggiori spese per la bonifica: fu necessario ricostruire tutto il sistema di scolo con ricalibrazione delle sezioni e delle pendenze necessarie, demolire e ricostruire manufatti, chiaviche, ponti sui canali e sugli scoli, ricostruire o adeguare ai nuovi livelli dell'acqua le idrovore, con una spesa stimata di 700 milioni di Euro.
Il Delta e gli altri territori del comprensorio del Consorzio di Bonifica Delta Po Adige (Comuni del Delta più Rosolina e un piccolissima parte di Chioggia) vengono mantenuti asciutti da 38 idrovore e 117 pompe, con una capacità di sollevamento di 200 000 litri al secondo, con una spesa di 1.600.000 Euro per anno di sola energia elettrica, per un'altezza media di sollevamento acque maggiore di 4 metri.

I crescenti problemi ecologici e ambientali hanno spinto, sul finire degli anni ottanta, verso una maggiore presa di coscienza dell'importanza della salvaguardia della natura. Si è quindi provveduto ad individuare le aree di maggior pregio ambientale, definendo le misure atte a tutelarle.



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