lunedì 7 settembre 2015

LA TARTARUGA CARRETTA



La tartaruga Caretta caretta  è la tartaruga marina più comune del mar Mediterraneo. La specie è fortemente minacciata in tutto il bacino del Mediterraneo ed è ormai al limite dell'estinzione nelle acque territoriali italiane.

La specie Caretta caretta della famiglia Cheloniidae, è la tartaruga marina comune d'acqua salata, diffusa nei mari e negli oceani temperati e tropicali di tutto il mondo, compreso il Mar Mediterraneo. Si ritrova anche nelle barriere coralline, nelle lagune salmastre ed anche nelle foci dei fiumi.

La tartaruga marina è un rettile che ama il caldo pertanto compie vere e proprie migrazioni spostandosi verso le acque tropicali e subtropicali durante la stagione fredda: temperature al di sotto dei 10°C sono letargiche e provocherebbero una sorta di "catalessi" e la tartaruga galleggerebbe in superficie; al di sotto di questa temperatura potrebbe anche morire.

Un individuo può compiere anche 5000 km (circa) per sfuggire alle acque fredde invernali, sfruttando le correnti oceaniche.

I giovani e gli adulti si trovano spesso lungo le coste preferendo i fondali rocciosi piuttosto che sabbiosi.

Le tartarughe C. caretta sono le più grandi tartarughe viventi sul nostro pianeta. Come  si trovano nelle acque di tutto il mondo e si è osservato che quelle che vivono nei mari hanno delle dimensioni più piccole rispetto a quelle che vivono negli oceani.

Tutto il corpo è protetto da una corazza e lo scudo dorsale, leggermente a forma di cuore, viene chiamato carapace, formato da cinque coppie di placche cornee (dette scudi) di colore rosso marrone e verde, fuse insieme a formare i caratteristici solchi.

Sono provviste di due paia di zampe trasformate in pinne che servono per nuotare e nei maschi ogni zampa anteriore è provvista di un artiglio ricurvo che viene utilizzato durante l'accoppiamento.

La testa è molto grande con potenti mascelle. Le tartarughe C. caretta non possiedono denti ma sporgenze taglienti sul becco che sono usate per triturare il cibo.

In prossimità degli occhi sono presenti delle ghiandole particolari che servono per eliminare il sale dall'acqua marina per poterla bere. Spesso si sente dire dalle persone che, osservando la C. caretta mentre nidifica, la vede "piangere": in realtà sta solo espellendo il sale in eccesso dall'acqua.

Sono in grado di trattenere il respiro per lunghissimi periodi di tempo, anche delle ore anche se in genere, un'immersione tipica, dura 5-20 minuti.

I maschi si distinguono dalle femmina sia perchè la pelle ha una colorazione più marrone e la testa è più gialla rispetto alle femmine sia perchè hanno una lunga coda che si sviluppa quando raggiungono la maturità sessuale.

Alcuni studiosi considerano due sottospecie: la C. caretta gigas del Pacifico e dell'Oceano Indiano e la C. Caretta caretta dell' Atlantico che differiscono tra loro per le diverse caratteristiche del carapace ma molti studiosi non concordano con questa classificazione.



Non si sa molto su come queste tartarughe marine comunichino tra loro. Sembrerebbe che il corteggiamento dipenda soprattutto dalla vista e dal tatto anche se alcuni studiosi suggeriscono che potrebbe dipendere anche da alcune ghiandole che secernano particolari odori.

Per quanto riguarda le abitudini alimentari le tartarughe C. caretta sono prevalentemente carnivore anche se possono mangiare alghe e piante acquatiche, il che le rende praticamente onnivore.

Le loro possenti mascelle le rende in grado di frantumare senza problemi i gusci duri dei granchi, dei ricci di mare, dei bivalvi ma più frequentemente mangiano spugne, meduse, insetti, cefalopodi, gamberetti, pesce e uova di pesce.

In estate, nei mesi di giugno, luglio ed agosto, maschi e femmine si danno convegno nelle zone di riproduzione, al largo delle spiagge dove le seconde sono probabilmente nate. Hanno infatti un'eccezionale capacità di ritrovare la spiaggia di origine, dopo migrazioni in cui percorrono anche migliaia di chilometri. Alcuni studi hanno dimostrato che le piccole appena nate sono capaci di immagazzinare le coordinate geomagnetiche del nido ed altre caratteristiche ambientali che consentono un imprinting della zona di origine.

Gli accoppiamenti avvengono in acqua: le femmine si accoppiano con diversi maschi, collezionandone il seme per le successive nidiate della stagione; il maschio si porta sul dorso della femmina e si aggrappa saldamente alla sua corazza, utilizzando le unghie ad uncino degli arti anteriori, poi ripiega la coda e mette in contatto la sua cloaca con quella della femmina. La copula può durare diversi giorni.

Avvenuto l'accoppiamento, le femmine attendono per qualche giorno in acque calde e poco profonde il momento propizio per deporre le uova; in ciò sono facilmente disturbate dalla presenza di persone, animali, rumori e luci. Giunte, con una certa fatica, sulla spiaggia vi depongono fino a 200 uova, grandi come palline da ping pong, disponendole in buche profonde, scavate con le zampe posteriori. Quindi le ricoprono con cura, per garantire una temperatura d'incubazione costante e per nascondere la loro presenza ai predatori. Completata l'operazione, fanno ritorno al mare. È un rito che si può ripetere più volte nella stessa stagione, ad intervalli di 10-20 giorni.

Le uova hanno un'incubazione tra i 42 e i 65 giorni (si è registrato un periodo lungo di 90 giorni, a causa di una deposizione tardiva che è coincisa con il raffreddamento del suolo), e, grazie a meccanismi non ancora chiariti, si schiudono quasi tutte simultaneamente; con differenze sostanziali tra i vari substrati che costituiscono la spiaggia dove è stata fatta la deposizione: la temperatura e l'umidità del suolo, la granulometria della sabbia sono fattori determinanti per la riuscita della schiusa. I suoli molto umidi determinano spesso la perdita delle uova poiché molte malattie batteriche e fungine possono attaccare le uova; inoltre alcuni coleotteri possono raggiungere il nido e parassitarle. La temperatura del suolo determinerà il sesso dei nascituri: le uova che si trovano in superficie si avvantaggiano di una somma termica superiore a quelle che giacciono in profondità, pertanto le uova di superficie daranno esemplari di sesso femminile e quelle sottostanti di sesso maschile.



I piccoli per uscire dal guscio utilizzano una struttura particolare, il "dente da uovo", che verrà poi riassorbito in un paio di settimane. Usciti dal guscio impiegano dai due ai sette giorni per scavare lo strato di sabbia che sormonta il nido e raggiungere la superficie e quindi, in genere col calare della sera, dirigersi verso il mare. In condizioni naturali corrono prontamente verso il mare. Possiamo considerare il piccolo appena nato come una sorta di "robot" il cui programma biologico attiva la ricerca in automatico della fonte più luminosa in un arco sull'orizzonte di 15 gradi. Questa in condizioni normali è rappresentata dall'orizzonte marino su cui luna e/o stelle si riflettono. Ma ormai la forte antropizzazione determina una concentrazione di luci artificiali che spesso disorientano le piccole appena nate, facendole deviare dal cammino, determinando talora la perdita di tutta la nidiata.

Solo una piccola parte dei neonati riesce nell'impresa, cadendo spesso vittima dei predatori, tra cui l'uomo; di quelli che raggiungono il mare infine, solo una minima parte riesce a sopravvivere sino all'età adulta.

Giunte a mare nuotano ininterrottamente per oltre 24 ore per allontanarsi dalla costa e raggiungere la piattaforma continentale, dove le correnti concentrano una gran quantità di nutrienti.

Dove esattamente trascorrano i primi anni della loro vita è un mistero che i biologi non sono ancora riusciti a spiegare, il cosiddetto "periodo buio"; solo dopo alcuni anni di vita, raggiunte dimensioni che le mettano al riparo dai predatori, fanno ritorno alle zone costiere. Alcune osservazioni, fatte in collaborazione con i pescatori della costa jonica calabrese, hanno consentito di censire diverse centinaia di esemplari quasi coetanei che soggiornano in un punto determinato, di fronte al faro di Capospartivento, dove si incontrano correnti importanti in una zona di calma: al confine delle correnti le tartarughe passerebbero diversi anni prima di iniziare la grande migrazione verso altri mari.

La specie, e le sue sottospecie, risiedono di preferenza in acque profonde e tiepide, prossime alle coste, dell'Oceano Atlantico, del Mar Mediterraneo e del Mar Nero nonché dell'Oceano Indiano e dell'Oceano Pacifico. Le maggiori concentrazioni di questo animale si trovano in Sud-Africa, Florida, Australia, Mozambico e Oman.

Nel Mar Mediterraneo frequenta soprattutto le acque dell'Italia, della Grecia, della Turchia e di Cipro ma anche di Tunisia, Libia, Siria e Israele.

Superficialmente i giovani possono assomigliare alla tartaruga di Kemp (Lepidochelys kempii). Gli adulti hanno qualche somiglianza con la tartaruga franca o tartaruga verde (Chelonia mydas) e con la tartaruga embricata (Eretmochelys imbricata).

Le tartarughe marine adulte in pratica non hanno predatori se si fa eccezione per gli squali che qualche volta le aggrediscono e l'uomo. In realtà chi viene predato sono le piccole larve e le uova che hanno in tasso di mortalità dell'80% negli Stati Uniti mentre in Australia è stato calcolato anche del 90-95% a causa di procioni e volpi ma anche da parte di granchi, uccelli e pesci.

La Caretta caretta è classificata nella Red list dell'IUNC tra gli animali ad altissimo rischio di estinzione ENDANGERED (EN).

Le motivazioni sono diverse: la cattura accidentale di queste tartarughe da parte dell'uomo con le reti da pesca; lo sfruttamente degli adulti e delle uova nell'alimentazione umana; la distruzione dei loro habitat di riproduzione da parte dell'uomo sia con le costruzioni che indirettamente con l'inquinamento acustico (i rumori delle barche le disturbano durante la nidificazione), chimico (pesticidi, prodotti petroliferi, ecc) , luminoso (le luci delle città disorientano i piccoli nella loro corsa verso il mare). Inoltre da non trascurare il riscaldamento globale che alterando le temperature, altera il sesso dei nascituri con gravi squilibri nella popolazione.

Tutto questo ha portato che le C. caretta sono specie protette da vari trattati e accordi internazionali, nonché ogni stato ha le sue leggi nazionali.

Sono tartarughe citate nell'Appendice I del CITES (Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora) come specie in pericolo di estinzione (Cheloniidae spp) e per la quale tutti gli scambi commerciali sono vietati. Sono inoltre elencati negli allegati I e II della Convenzione sulle specie migratorie del CMS (Convention on Migratory Specie).

La tartaruga C. caretta è un animale fondamentale nell'ecosistema tanto che da molti studiosi è chiamata la "chiave di volta" questo perchè si nutre di numerosi invertebrati i cui gusci vengono spezzati dalle sue potenti mascelle che diventano poi nutrimento di numerosi altri animali come ricca fonte di calcio; le sue uova che rappresentano il nutrimento di un gran numero di specie; il suo carapace che rappresenta una tana numerosissime specie di animali.

Anche per l'uomo la C. caretta è importante per stimolare l'ecoturismo.

Le tartarughe marine sono animali molto antichi ed il loro aspetto è rimasto invariato da milioni di anni.



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