giovedì 10 settembre 2015

LA BALENA NEL MEDITERRANEO



La costa ligure veniva chiamata dai romani "Costa balaenae" che significa "Costa della balena".
Segnalazioni storiche, in tempi più recenti, si ritrovano anche in giornali e pubblicazioni locali, dove gli spiaggiamenti sono riportati come eventi straordinari.
Viaggiando in Italia scoprirete che molti musei di storia naturale conservano ed espongono ossa e scheletri di cetacei.

Il Centro Studi Cetacei ha pubblicato un rendiconto annuale sugli animali trovati morti lungo le coste italiane e i numeri sono significativi: 221 spiaggiamenti come media annuale tra il 1987 e il 1990. Una violenta epidemia di Morbillivirus nel 1991 ha fatto aumentare il numero di spiaggiamenti fino a 550 esemplari, ma negli anni successivi la media si è riabbassata tornando ai valori precedenti.
Nel Mar Mediterraneo vivono regolarmente 8 specie di cetacei.
Esistono poi 4 specie che si definiscono occasionali e altre 7 che entrano in Mediterraneo solo accidentalmente.
Nel mondo sono state classificate 78 specie di cetacei.

Il Mar Mediterraneo viene considerato un bacino semichiuso; l’unica apertura che lo mette in comunicazione con gli altri mari del mondo è lo Stretto di Gibilterra che, però, risulta essere molto piccolo con un’ampiezza di circa 10 km e una profondità di poco superiore ai 300 metri. Il Canale di Suez, lo Stretto dei Dardanelli e quello del Bosforo sono ancora più piccoli e, in pratica, influenzano molto poco la vita del Mediterraneo.
Il Mar Mediterraneo non ha sempre avuto la forma che conosciamo oggi e la sua geologia spiega l’origine e il significato del nome. Nel Permiano, infatti, circa 240 milioni di anni fa, tutti i continenti erano riuniti in un unico grande blocco, la Pangea, circondato da un immenso mare, la Tetide. Grazie alla lenta deriva dei continenti, la Pangea si frammentò nei vari continenti e il mar della Tetide cominciò a rimpicciolirsi sempre più fino a quando raggiunse la forma attuale dovuta al ricongiungimento del blocco africano con quello eurasiatico. Questo piccolo tratto di mare rimasto “intrappolato” tra due grandi continenti è il Mar Mediterraneo ed è ciò che rimane del grande mar della Tetide. Mediterraneo significa infatti “mare in mezzo alle terre”.



Per poter studiare e comprendere la vita che si ha in un determinato ambiente, bisogna conoscerne le caratteristiche chimico-fisiche ed oceanografiche.
In Mediterraneo vi è una circolazione di acqua fredda e leggera che entra da Gibilterra e si distribuisce sulla superficie del mare. Essendo un bacino semichiuso, nelle acque del nostro mare si verifica un’elevatissima evaporazione causata dall’irraggiamento solare. Si ha in questo modo una maggior salinità delle acque interne al bacino. La salinità del Mediterraneo è infatti molto alta, 37-38‰. Questa acqua più salata risulta essere anche più pesante e, di conseguenza, cade sul fondo del mare e tracima successivamente, dopo aver fatto il giro di tutto il bacino, attraverso lo Stretto di Gibilterra. In questa zona si hanno quindi due correnti di acqua differenti: una leggera e superficiale in entrata, e un’altra pesante sul fondo in uscita.
Un’altra particolare caratteristica oceanografica del Mare Nostrum è la temperatura delle sue acque. Negli altri mari del mondo, si osserva normalmente una diminuzione della temperatura dalla superficie al fondo del mare; in Mediterraneo, invece, si hanno fluttuazioni stagionali molto elevate con una conseguente escursione termica nelle acque superficiali fino a 14°, valore nettamente alto. In aggiunta, in profondità, la temperatura si mantiene sempre costante, sia d’estate che d’inverno, intorno ai 13°.
Il Mediterraneo viene considerato un mare povero e poco produttivo (oligotrofo) per quanto riguarda la produttività primaria, ossia la quantità di biomassa prodotta dagli organismi vegetali attraverso la fotosintesi. Il ciclo biologico della materia prevede che tutta la sostanza organica presente in mare, sottoforma di animali e vegetali, una volta morti gli organismi, cada sul fondo del mare e venga trasformata in sostanza inorganica grazie all’opera di particolari batteri decompositori che vivono sul fondo marino. Ciò avviene anche in Mediterraneo, ma a causa della corrente che abbiamo visto essere presente sul fondo, gran parte di questa sostanza inorganica viene persa tracimando dallo Stretto di Gibilterra.
Ciò causa una riduzione del numero di specie animali e vegetali rispetto a quello osservato negli altri mari più produttivi. Tuttavia, grazie a un fenomeno oceanografico particolare, questa “povertà” non si osserva in una zona del Mediterraneo, ossia nel Bacino corso-ligure-provenzale.
E’ delimitato dalla costa italo-francese tra Genova e Tolone, la Corsica occidentale e la Sardegna occidentale. Esso è caratterizzato da una profondità media di 2300 metri ed è direttamente collegato all’Oceano Atlantico grazie ad una corrente superficiale proveniente dallo Stretto di Gibilterra. Questa corrente si biforca all’altezza dell’Algeria: un ramo si dirige verso le coste occidentali della Sardegna e della Corsica, l’altro costeggia la costa tirrenica italiana. In prossimità di Genova le due correnti si ricongiungono e si mescolano alle acque di origine continentale portate dal fiume Rodano. Un vortice ciclonico antiorario è tipico del Bacino corso-ligure-provenzale durante la stagione estiva; esso crea una risalita delle acque profonde ricche di nutrienti, fenomeno noto con il nome di upwelling. Durante il periodo autunnale questo fenomeno è dovuto all’attività di venti provenienti dal continente, ovvero tramontana e maestrale; ed è proprio questo rimescolamento verticale, in concomitanza con altri parametri chimico-fisici e oceanografici, quali l’intensa evaporazione e l’immissione di nutrienti dal Rodano, a determinare le condizioni per una elevata produttività primaria, non riscontrabile in nessuna altra zona del Mar Mediterraneo.
Il Bacino corso-ligure-provenzale è infatti la regione mediterranea in cui la presenza dei Cetacei è più massiccia, sia per quanto riguarda il numero di esemplari sia come diversità di specie.
Alla luce di questa abbondanza di specie di Cetacei, il 22 marzo 1993 i rappresentanti dei Ministeri dell’Ambiente di Francia e Italia e il Ministro di Stato del Principato di Monaco firmarono a Bruxelles una dichiarazione relativa all’istituzione in questa zona di un Santuario mediterraneo per i mammiferi marini; esso è delimitato ad ovest da una linea che va dalla punta Escampobariou (punta ovest della penisola di Giens) con posizione 43°01’N e 006°05’E fino a Capo Falcone, situato sulla costa occidentale della Sardegna (40°58’N e 008°12’E); ad est, una linea che va da Capo Ferro, situato sulla costa nord della Sardegna (41°09’N e 009°31’E) fino a Fosso Chiarone, situato sulla costa occidentale italiana (42°21’N e 011°31’E).
L'accordo definitivo del 25 Novembre 1999 ha finalmente sancito la nascita di questa grande area marina protetta. E nel 2001 è arrivata la ratifica dell'accordo da parte dell'Italia.



La balenottera comune è il secondo animale del pianeta per dimensioni, dopo la balenottera azzurra. Si sa che può raggiungere e superare i 26 m, anche se la lunghezza media è molto inferiore. Gli animali dell'emisfero boreale sono normalmente di 1-1,5 m più corti di quelli dell'emisfero australe e alcuni autori ritengono che si tratti di sottospecie distinte. È facilmente confusa con la balenottera boreale o con la balenottera azzurra o nei tropici con la balenottera di Eden. Un elemento essenziale per riconoscere la balenottera comune a distanza ravvicinata è la pigmentazione asimmetrica della testa: sul lato destro, il labbro inferiore, la cavità orale e alcuni dei fanoni sono bianchi, mentre il lato sinistro è grigio uniforme. Quando nuota proprio sotto la superficie è spesso chiaramente visibile il labbro bianco, che può tuttavia essere confuso con la pinna pettorale bianca di una megattera. Un tempo una delle balenottere più comuni, presenta oggi popolazioni seriamente compromesse dalla caccia baleniera.

Non evita né si avvicina alle barche. È quasi impossibile valutare quando emergerà o si allontanerà: può essere difficile osservarla da vicino. Il tipo di emersione varia a seconda che stia nuotando in superficie oppure stia emergendo da un'immersione profonda. Soffia tipicamente da 2 a 5 volte, a intervalli di 10 o 20 secondi, prima di immergersi per 5-15 minuti (anche se può restare immersa più a lungo). Si immerge sino a profondità di almeno 230 m. La pigmentazione asimmetrica può essere legata al modo in cui la balena nuota sul lato destro mentre si nutre. Talora salta completamente fuori dall'acqua. È una nuotatrice veloce, capace di raggiungere velocità di 30 km/h. Si vede più spesso di altre balenottere in piccoli gruppi.

La dieta della Balenottera comune è piuttosto varia. Le componenti principali sono: krill, pesci e piccoli cefalopodi, ma varia a seconda della distribuzione (emisfero boreale, australe o Mediterraneo). La tecnica di caccia è particolare: si avvicina a notevole velocità ad un branco di pesci per buttarsi nel punto in cui questo è più fitto. Quindi, distendendo la regione golare, che può anche raddoppiare il diametro della parte anteriore del corpo, ingoia acqua e pesci.

Più comune nell'emisfero australe, meno comune nei tropici. Giunge nelle acque polari, ma meno frequentemente della balenottera azzurra o della balenottera minore. Nel Mediterraneo si trovano normalmente solo le balenottere comuni. Ci sono probabilmente tre popolazioni isolate: nel Nord Atlantico, nel Nord Pacifico e nell'emisfero meridionale. Alcune popolazioni migrano verso basse latitudini, con acque relativamente calde, in inverno e verso latitudini più elevate, con acque più fredde, in estate, anche se gli spostamenti sono meno prevedibili che in altri cetacei di grandi dimensioni. Certe popolazioni di basse latitudini, come quelle del Golfo di California (Baia di Cortez), in Messico, sembrano essere stanziali. Si trova normalmente al largo, ma la si vede anche sottocosta là dove l'acqua ha profondità sufficiente.

La Zoological Society of London, in base a criteri di unicità evolutiva e di esiguità della popolazione, considera Balaenoptera physalus una delle 100 specie di mammiferi a maggiore rischio di estinzione.



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